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L’America nel Castello di Poppi

Dante Alighieri, durante la battaglia di Campaldino, dice di aver avuto «temenza molta» – tradotto in termini spicci, se l’era fatta sotto -, e non solo: secondo la leggenda, si beccò pure un sonoro colpo in faccia che gli spezzò il naso, regalandoci quel profilo arcigno che è un po’ il suo marchio di fabbrica.

All’epoca di quel maledetto sabato di San Barnaba del 1289, il Sommo Poeta non era ancora il Sommo Poeta: era un feditore di ventiquattro anni terrorizzato e insanguinato, che, mentre tirava spadate qua e là per sopravvivere, probabilmente stava sperimentando come tutto perda di importanza di fronte alla morte. Anche i sonetti composti per le belle ragazze, o i lazzi con l’amico Guido Cavalcanti, o il mito della gloria nel combattimento, che da lontano sembrava brillare come oro, ma da vicino puzzava di sangue e di budella. Magari avrà pensato che, beh, se puta caso gli fosse riuscito di uscire vivo da quel massacro, quasi quasi si sarebbe dato alla politica o alla filosofia: meglio evitare quello che stava vivendo, meglio costruire la pace, tessendo fili di alleanze o facendo guerra con le parole. E lui con le parole ci sapeva fare, altro che la spada.

Chissà se ad un certo punto avrà alzato gli occhi per guardare il castello dei Conti Guidi, che dall’alto della collina di Poppi assisteva placido alla carneficina. Squadrato e solido come un seggio medievale, all’epoca di quel maledetto sabato di San Barnaba del 1289 era in costruzione quasi ultimata, su progetto di Arnolfo di Cambio (sì, esatto, l’architetto di Palazzo Vecchio, che in effetti sembra il cugino del castello di Poppi).

Mentre annaspava nel sangue, Dante non poteva sapere che di lì a ventun anni ci avrebbe abitato in quel castello, esule dalla sua amata Firenze per la quale in quel momento stava rischiando la vita. E che, nei diversi mesi di soggiorno tra quelle mura possenti, ospite del Conte Guido Simone da Battifolle, avrebbe portato avanti la scrittura dell’opera che lo avrebbe reso immortale: alla luce delle finestre che davano sulla piana di Campaldino, avrebbe composto il XXXIII canto dell’Inferno, uno dei più amari e foschi, quello dell’Antenora (dove vengono puniti i traditori della patria, guarda caso). Io quasi ce lo vedo, truce e un po’ ingobbito, che medita sulle terzine del conte Ugolino, mentre gli altri banchettano lieti nel coloratissimo Salone delle feste. O che prega nella cappella che di lì a vent’anni sarebbe stata affrescata da Taddeo Gaddi, il migliore allievo del suo amico Giotto.

Forse un sorriso lo avrebbe accennato, vedendo che di lì a seicento anni, nella Biblioteca Rilliana, tra libri rarissimi e preziosi, avrebbe fatto bella mostra di sé una copia della sua Divina Commedia, illustrata da Gustave Doré. E peccato che si sia perso l’installazione, nella torre del castello, del primo prototipo di parafulmine in Italia, inventato da un tipo che gli sarebbe andato di sicuro a genio: Benjamin Franklin.

Voi non vi perderete niente di tutto questo: basta pagare 6 euro di biglietto.

 

Per info:http://www.ilbelcasentino.it/castello_poppi.htmlhttps://www.tripadvisor.it/Attraction_Review-g887276-d2170747-Reviews-Castello_dei_Conti_Guidi_di_Poppi-Poppi_Province_of_Arezzo_Tuscany.html

 

*#TeletruriaGiovani è un nuovo progetto coordinato da Teletruria, nato dalla volontà di dare voce ai giovani. Il team di #TeletruriaGiovani è formato esclusivamente da ragazzi under 40 non giornalisti che, per il gusto di scrivere e per la passione di condividere le loro esperienze, hanno deciso di curare delle rubriche tematiche. I ragazzi sono tutti volontari e scelgono in autonomia i temi su cui scrivere.

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