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Social e Barbarie

Il web è cresciuto e si è evoluto velocemente, dalla sua “apertura al pubblico” fino ad oggi.

Nel corso degli anni ci siamo modellati a vicenda: così come internet ha cambiato molte nostre abitudini, a nostra volta abbiamo proiettato un po’ di noi stessi dentro la rete. Il web è diventato a tutti gli effetti un prolungamento della nostra quotidianità, col quale interagiamo in molti modi: dentro il web leggiamo il giornale, guardiamo la tv, visitiamo negozi e musei. E mentre queste attività ci paiono reali (vedo realmente l’articolo di giornale che sto leggendo, se compro un oggetto so che riceverò a casa qualcosa di reale), non percepiamo con lo stesso livello di concretezza tutte le comunicazioni e discussioni alle quali partecipiamo. Se commento una notizia di cronaca sul sito di un quotidiano, con chi sto realmente discutendo? Se condivido qualcosa sul mio social media preferito, cosa sto realmente comunicando? I miei atteggiamenti “virtuali” come si ripercuotono sugli altri abitanti del web, e viceversa?

L’esplosione del fenomeno del web ha portato con sé infinite possibilità e, per citare una metafora usata da Vera Gheno (sociolinguista, curatrice del profilo Twitter dell’Accademia della Crusca, nonché membro del comitato scientifico della community Parole O_Stili), intervistata durante la trasmissione Fahrenheit di Radio 3: “noi nei confronti di internet siamo un po’ come dei neopatentati a cui è stata data in mano una Ferrari: la possibilità di fare dei danni è altissima perché le potenzialità della rete sono veramente tantissime”.

La possibilità, per ognuno di noi, di potersi esprimere liberamente (almeno in apparenza) è andata trasformandosi in un volersi esprimere a qualunque costo, secondo la dannosa formula: “se posso farlo, perché non dovrei?”. Nelle zone più interattive del web questo ha generato una progressiva trasformazione delle comunicazioni ed un conseguente abbrutimento del linguaggio: se non so con chi sto comunicando, e affronto il tema della discussione in maniera superficiale, la scelta delle parole giuste perde di significato.

Un esempio evidente è rappresentato dai quotidiani online: fonti primarie di notizie, con l’approdo al digitale hanno accolto dentro di sé le voci dei lettori, quelle che un tempo discutevano gli ultimi avvenimenti tra le mura domestiche o nei bar e circoli di paese. Basta scorrere fino alla sezione “commenti” di un articolo di attualità, o di politica, di uno dei principali quotidiani, per rendersi conto della deriva presa dalla comunicazione: qualunquismi, battute becere e gare tra utenti per detenere l’ultima parola o la supremazia di uno spazio virtuale che, occupato così, ha ben poco valore. Le notizie generate dai quotidiani sono, a loro volta, “condivise” e amplificate dai numerosi social media, Facebook e Twitter in primis. Essendo i social, un po’ per natura un po’ per business, “utente-centrici”, cioè focalizzati sugli utilizzatori piuttosto che sui contenuti, nei loro spazi si riproducono le dinamiche del “botta-e-risposta” tra personaggi: le parole sono ancora una volta piegate agli scopi personali degli abitanti del web, piuttosto che alla discussione, e le comunicazioni risultano spesso compromesse e avvelenate.

Un linguaggio violento non è solo “brutto da leggere” o “non costruttivo”, ma è da considerarsi a tutti gli effetti come portatore di violenza: i toni prepotenti usati sul web hanno spesso una ripercussione aggressiva nel mondo reale. Per restare nel presente del nostro paese, due sono i casi più eclatanti di questo continuum tra comunicazione digitale e comportamento. Da un lato, il fenomeno dell’immigrazione, sfruttato in molti ambiti per creare narrazioni tossiche (narrazioni, cioè, infarcite di notizie parziali o non veritiere, che ne intaccano l’attendibilità e ne distorcono il contenuto) in grado di influenzare le nostre condotte quotidiane, fino a sfociare in episodi di violenza. Dall’altro, il fenomeno del cyberbullismo, pratica di diffamazione virtuale che ha sempre gravi conseguenze nel mondo reale della vittima. Di recente è salita molto l’attenzione nei confronti di questo fenomeno, grazie anche al lavoro di sensibilizzazione quotidiano svolto da molte piattaforme, online e non.  Emblematico è il caso denunciato dalla community Abbatto i Muri a proposito della pubblicazione sul web di foto di donne senza il loro consenso, sfociato in una petizione online sulla piattaforma Change.org, tuttora attiva, per chiedere prevenzione e norme proprio contro il cyberbullismo ed il revenge porn.

In questo mare magnum di brutture esistono comunque isole di buonsenso, da cui sorgono proposte per un miglior vivere sul web. In Italia sono almeno i due i progetti più recenti degni di nota. Dall’Università degli Studi di Cagliari arriva il progetto ReAct, focalizzato sul tema dell’immigrazione e portato avanti da un gruppo di studenti con l’obiettivo di contrastare l’estremismo ed il linguaggio violento sul web. Il target principale sono i giovani e l’utenza web in generale, da sensibilizzare attraverso contenuti informativi che contrastino la diffusione di narrazioni tossiche in grado di fomentare la violenza, in tutte le sue forme. Nonostante il progetto sia nato da pochi mesi, ha raggiunto un importante riconoscimento appena qualche giorno fa, classificandosi al terzo posto su centocinquanta partecipanti internazionali nel Facebook Digital Global Challenge. Premiati a Washington, gli studenti stanno seguendo in questi giorni un programma di visite presso varie istituzioni in giro per gli Stati Uniti.

Di diversa portata, ma di natura simile, è la community Parole O_Stili, la prima community online contro la violenza nelle parole. Lo stimolo nasce da una considerazione quasi scontata: le parole sono importanti, hanno un peso, ed hanno un effetto sia su chi le usa sia su chi le riceve. La community conta oltre 300 tra giornalisti, manager, politici, docenti e comunicatori, che si sono dati appuntamento a Trieste il 17 e 18 febbraio prossimi per una due-giorni di sensibilizzazione contro la “violenza 2.0”. Il progetto si pone come obiettivo quello di far riflettere sul linguaggio che usiamo quotidianamente nelle interazioni in rete, e sull’importanza di una attenta scelta delle parole. Cento sostenitori del progetto hanno creato e proposto una bozza di “Manifesto della comunicazione non ostile”, suddiviso in varie categorie e votabile online. Una volta “confezionato”, il manifesto verrà presentato in una sessione plenaria nella prima giornata di lavoro, alla quale parteciperà come ospite anche la Presidente della Camera Laura Boldrini. Nel secondo giorno di lavoro saranno organizzati nove panel (alcuni dei quali seguibili anche in diretta streaming), tenuti da esperti dei diversi settori trattati: i temi spazieranno dalla pubblicità alla religione, passando per giornalismo, politica, sport e divertimento, con un’attenzione particolare a bambini e giovani e ad il loro rapporto col mondo digitale.

L’essenza della community Parole O_Stili ci riporta a dove siamo partiti, in questo veloce e parziale excursus sullo stare in rete: ognuno di noi dovrebbe frequentare il web come un luogo pubblico, prestando la stessa attenzione di quando visita un luogo fisico e riflettendo sul proprio linguaggio e sui propri comportamenti.

Internet è un contenitore. La natura di internet è dovuta a ciò che noi ci mettiamo.

 

#TeletruriaGiovani è un nuovo progetto coordinato da Teletruria, nato dalla volontà di dare voce ai giovani. Il team di #TeletruriaGiovani è formato esclusivamente da ragazzi under 40 non giornalisti che, per il gusto di scrivere e per la passione di condividere le loro esperienze, hanno deciso di curare delle rubriche tematiche. I ragazzi sono tutti volontari e scelgono in autonomia i temi su cui scrivere.

 

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