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Quanno a felicita nun a vide cercala dinto

Vi racconto una storia. Che in realtà sono tante storie.

Qualche sera fa, in una trattoria, i miei occhi sono stati ben felici di sgranarsi d’incanto e curiosità dinanzi alle parole appassionate di un cameriere – sicuramente a me coetaneo – mentre raccontava la storia del ragù napoletano rievocando, tra i ricordi d’infanzia, l’odore della cucina di casa mentre la nonna con sacra pazienza portava a compimento l’agognata pietanza.

Qualche mattina fa, invece, ero in un mercato rionale. Il pesce fresco guizzante, le urla e l’illibato folklore dei venditori, le signore dai capelli canuti che vendono sigarette di contrabbando, i giovani immigrati che vagano senza meta. Tanti ragazzini che nei giorni di scuola cavalcano selvaggi e furibondi motorini alla ricerca di non si sa che cosa. I mini minimarket stipati. I murales (bellissimo quello di San Gennaro a Forcella) e la street art. Tante mamme, dalla pelle così liscia tale che ne faccia intuire la giovanissima età, che girovagano da sole; sole con le proprie creature dentro ai passeggini. Come sarà nel domani, come è oggi, come era cinquant’anni fa e ancor più addietro nel tempo: Napoli è una città dove i confini temporali non esistono. O, ammesso che esistano, forse la bellezza sta proprio nel non coglierli.  Nel farsi sconvolgere, per esempio, dall’esoterismo, che travalica il tempo e i secoli, del Cimitero delle Fontanelle: una cavea di tufo che raccoglie circa otto milioni di ossa umane appartenute alle vittime di peste e di colera e divenute, da fine Ottocento sino alla metà del secolo scorso, oggetto di culto superstizioso per le persone più povere e per tutti coloro che avevano deciso di affidarsi ad una via diversa da quella religiosa. Entro queste pareti abita il teschio del Capitano e forte ne riecheggia la sua maledizione: si  narra che l’averne sfidato il culto abbia portato alla morte – istantanea – di due giovani sposini nel giorno delle loro nozze. Pochi passi più in là ed ecco il mistero  della “capa che suda” : un teschio che mai ha smesso di essere bagnato nella sua parte più alta.

Chi si ferma all’apparenza qui sarà perduto, chi si chiude dentro la corazza del raziocinio non ne uscirà indenne: Napoli è puro caravaggismo. Napoli è un’esperienza multisensoriale. Le lacrime miracolose di Maradona contenute in una teca all’interno di un bar in piazzetta Nilo, il profumo che esce dalle pasticcerie storiche, i giovani e non che affollano Piazza Bellini e quel locale pazzesco che è il “Perditempo” – dove si legge, si chiacchiera, si beve e si ascolta buonissima musica –; i tavoli spartani condivisi a pranzo con degli sconosciuti del posto che ti offrono un bicchiere di vino e tanti genuini sorrisi. Le bancarelle di Port’Alba ricolme di libri antichi e usati. I bambini con le maglie del Napoli che giocano a pallone nei cortili delle chiese. E dei signori così orgogliosamente napoletani da farti da impagabili Ciceroni senza neppure averglielo chiesto. Qui i confini temporali (e non solo) forse non esistono. O, ammesso che esistano, forse la bellezza sta proprio nel non coglierli.

 

 *#TeletruriaGiovani è un nuovo progetto coordinato da Teletruria, nato dalla volontà di dare voce ai giovani. Il team di #TeletruriaGiovani è formato esclusivamente da ragazzi under 40 non giornalisti che, per il gusto di scrivere e per la passione di condividere le loro esperienze, hanno deciso di curare delle rubriche tematiche. I ragazzi sono tutti volontari e scelgono in autonomia i temi su cui scrivere.  

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